sabato 11 dicembre 2010

Giorno 5

Maska: il nuovo lavoro dei fratelli Quay basato su un racconto di Stanisław Lem si porta dietro tutto il fascino dei precedenti lavori del duo aggiungendo una nuova attenzione straordinaria per l’apparato luminoso e aggiungendo una narratività insolita per i due registi.
Il racconto che in altre mani poteva diventare un normale film di fantascienza qui diventa un affascinante incubo medievaleggiante con trovate assolutamente visionarie.

Divers in the Rain: cortometraggio d’animazione di un duo di registi russi che racconta una storia d’amore tra due personaggi che non si riescono quasi mai ad incontrare. Scelte visive interessantissime e richiami surrealisti interessanti, il corto (25 minuti) però patisce un po’ per la sua lunghezza che lo fa spesso cadere in ripetitività non particolarmente apprezzabili.

Portrait of the Fighter as a Young Man: Lungometraggio romeno in concorso. Il film patisce della sua interminabile lunghezza, la storia viene raccontata soprattutto dalle lunghe e numerose didascalie piuttosto che dalle immagini. Le vicende mostrate risultano ripetitive e troppo simili tra loro e non giustificano per niente le due ore abbondanti della durata. Un lavoro decisamente poco riuscito narrativamente e che non presenta scelte di interessa dal punto di viste della regia.

The Myth of the American Sleepover: Trovo che questo sia un film interessante per molti aspetti. Si crea un atmosfera molto buona e affascinante e i personaggi sono scritti molto bene ma a scarseggiare è una storia degna di nota. Nonostante la durata ridotta il film fa sentire completamente il suo girare a vuoto. L’idea di rendere un rito di passaggio tipico della cultura americana come punto centrale dello sviluppo di personaggi e storie che si intrecciano tra loro finisce col l’essere uno spunto interessante ma non curato abbastanza e comunque non particolarmente capace di coinvolgere lo spettatore come dovrebbe invece fare un prodotto del genere.

Vanishing on 7th Street: Un horror decisamende disastroso. Si parte da una trama che prende a piene mani dal videogioco Alan Wake ma dalla base interessante non riesce a tirare fuori nulla di buono. I personaggi sono tagliati con l’accetta e recitati decisamente male. La cosa più fastidiosa di tutto il film però sono le frasi e metafore religiose sparse qua e là che rendono il prodotto un polpettone indigeribile con tanto di finale dentro una chiesa e mele rosse rovesciate per terra. Ma anche a voler far finta di nulla su tutto ciò il film comunque è completamente privo di ritmo e tensione con una storia più simile ad un pilot di una serie tv che di un film che magari potrebbe funzionare sulla lunga percorrenza, andando a ripescare certi elementi di Lost, ma che in 90 minuti fallisce in quasi tutti i campi.

Last Chestnuts: Film giapponese di un regista cinese, secondo quest’ultimo questo dovrebbe essere un dettaglio importante per capire certi aspetti del film. Probabilmente la mia scarsa conoscenza dell’attuale situazione tra Cina e Giappone non mi ha fatto notare questi dettagli fondamentali.
Il film non mi ha dato granché, non direi che sia brutto ma non mi ha smosso molto. Ha una storia molto semplice e girata in modo non particolarmente interessante, un lavoro che al di fuori di un festival non potrebbe sopravvivere.

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