sabato 28 novembre 2009

TFF 2009 con sommo ritardo

Con enorme ritardo il mio resononto del Torino Film Festival 2009:
Adás - Transmission: Il film nella partenza è interessante, raccontare una società in cui l’elettricità sembra essere “svanita” e di conseguenza i congegni elettronici cessano di funzionare e le trasmissioni televisive sono estinte. Quanto di buono ha da offrire però viene soffocato dalla lentezza estenuante e da un totale disinteresse da parte del regista nel renderci partecipi del dramma dei protagonisti. Bellissima fotografia (Gergely Pohárnok è un direttore della fotografia già apprezzato in Taxidermia e La partita lenta ed è da tenere d’occhio per il futuro) e colonna sonora, ormai credo che i film ungheresi abbiano tali caratteristiche di Defaul.

Chi l'ha visto: Un ragazzo gay tedesco, dopo aver ricevuto dalla madre una foto del padre che l’ha abbandonato quando era piccolo, decide di partire alla volta dell’Italia per cercare il genitore scomparso. Girato con pochi soldi e basato sulla storia “parzialmente” vera dello stesso attore/protagonista il film comincia bene come un viaggio on the road. Purtroppo però finisce ben presto per incepparsi e comincia a girare a vuoto senza più sapere dove andare a parare. Si riprende giusto nel finale, in un “mimato” episodio di Chi l’ha visto? Con lo specchio di un albergo a sostituire lo schermo televisivo.

Crackie: come lo scorso anno anche in questa edizione c’è un film indie triste con un cane in mezzo. Buon ritratto di due donne, una nonna e una nipote, che impareranno con fatica a rendersi conti dei reciproci bisogni. Un lavoro che colpisce soprattutto a livello emotivo e che lascia combattuti. Il tocco femminine della regista si sente decisamente e aiuta a rendere le due protagonista ancora più complete. Giusto da segnalare che fortunatamente il finale non si lascia andare ad un classico buonismo pro-life, ma che da un sensato dubbio sulla decisione finale della protagonista.

La Nana: Una commedia sulla solitudine e sulla paura di essere messi da parte e le conseguenze “estreme” che questa fobie possono provocare. Un film agrodolce e originale. Forse il migliore tra quelli in concorso che ho visto.

La bocca del lupo: Spacciato per un film di finzione ma in realtà un documentario vero e proprio. Il vincitore del festival di quest’anno non convince molto nella prima parte, tolta la bella fotografia infatti ci risulta un po’ troppo difficile affezionarsi a dei personaggi che non vediamo e di cui non sappiamo nulla tranne alcuni dialoghi estrapolati. Nella seconda parte cambia tutto, ci appassioniamo alle vicende dei due protagonisti che ci raccontano in una sorta di intervista la difficile nascita in carcere della loro storia d’amore, lui per aver sparato a 3 poliziotti e lei trans arrestata per problemi legati alla droga, e del loro ritorno alla libertà insieme. Si resta un po’ incantati dalla particolare “dolcezza” della storia che riabilita la prima non convincente parte del film.

Breaking Upwards: Commedia indie americana ambientata a New York con ben 3 attrici di Bored to Death! Io per queste cose non sono molto attendibile, mi faccio sempre fregare da quelle famiglie sgangherate, dalla fotografia iper colorata, i dialoghi frizzanti e da quelle colonne sonore… indie! Ma soprattutto dai personaggi tremendamente pucci. Una storia d’amore che pur rispettando i canoni dei film indie riesce comunque a sorprendere, divertire (il dialogo sui social network durante il rapporto sessuale) e ad emozionare.

Fantastic Mr. Fox - Una volpe troppo furba: un film di Anderson in tutto e per tutto, potrebbe tranquillamente essere una versione zoomorfa della famiglia Tenenbaums o Whitman (tra l’altro c’è il continuo riferimento al treno, magari lo stesso su cui viaggiano i tre fratelli). Il mondo creato da Wes è tipicamente suo, con il suo solito pattern di colori caldi e autunnali e col suo look vintage. I dialoghi sempre genuinamente brillanti e a tratti malinconici.

Made in Hungaria: insieme a Mr. Fox, il miglior film del festival. Un musical ungherese ambientato negli anni ’60 quando il comunismo non aveva ancora preso il totale controllo della nazione.
Coloratissimo e gestito ottimamente, fino a qualche giorno fa non avrei mai pensato di potermi mettere a canticchiare canzoni ungheresi. Il film è trascinante nelle sue canzoni e nelle sue coreografie. Dialoghi ottimi e sempre segnati da un umorismo mai banale. Si resta affascinati dal mondo creato dal regista, dalla sua ricostruzione mai nostalgica di una coloratissima Ungheria surreale.
Se vi è piaciuto l’inglese I love radio rock, questo film potrebbe fare per voi.

Nowhere Boy: Carino è carino. Un buon impegno da parte della regista c’è, ma complessivamente ha un po’ deluso le mie aspettative.
Risulta facile paragonarlo con Control, il film di Corbijn su Ian Curtis e i Joy Division perchè alla fine di punti in comune ne hanno parecchi; entrambe opere prime, entrambi scritti da Matt Greenhalgh ed entrambi prendono in considerazione la vita di due frontman di due dei gruppi più importanti della storia della musica inglese concentrandosi soprattutto sulle loro origini prima di diventare ciò che noi conosciamo.
Control però è un film completo che rappresenta bene lo spirito dei Joy Division da una parte e riesce a portarsi dietro il bagaglio estetico di Corbijn, e soprattutto è un film che mantiene le promesse e consegna agli spettatori quello che ci si aspettavano su Ian Curtis. Nowhere Boy invece è prima di tutto una storia familiare in cui Lennon e il suo gruppo (i suoi vari gruppi tranne i Beatles) sono più un pretesto. Al posto del leader dei Beatles poteva esserci un qualunque ragazzino scapestrato e il racconto sarebbe stato comunque funzionante.
La regista lavora molto sui colori e sulla fotografia del film fruttando molto l’estetica di Joe Wright, tanto da metterlo nei ringraziamenti nei titoli di coda.
Molto ben definiti i due personaggi principali femminili e interessante il modo di definire le due donne con due colori (rosso per la madre di Lennon e nero per la zia) che pian piano si omogeneizzano.
Insomma un buon film drammatico, un pessimo film biografico.

Tetro - Segreti di famiglia: un film densissimo e caldo. Il nuovo lungometraggio del periodo “indipendente” di coppola come il precedente Un'altra giovinezza, soffre dei problemi che di solito affliggono i film di autori esordienti, tanta voglia di raccontare e tante cose da dire. Tetro è comunque un film che sbaglia si, ma lo fa per eccessiva passione e non per troppe ambizioni che avrebbero portato il lungometraggio a una comicità involontaria.
L’eccesso di tematiche affrontate esplode nel finale, dove la visionarietà la fa da padrone sulla narrativa.
Travolgente e denso, Tetro si fa amare anche con i suoi difetti e con le sue imprecisioni.

The Loved Ones: questo film mi lascia dubbioso, se da una parte abbiamo un ottimo umorismo e una buona dose di sano splatter dall’altra c’è una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti. Continuo uso di deus ex machina, personaggi buttati lì senza nessuna logica precisa e senza essere poi approfonditi, storyline parallele tirate su un po’ alla buona.
Le carte in regola le aveva ma non le ha sfruttate come si deve.

Welcome: Probabilmente sono l’unico a restare un po’ freddo davanti a questo film. Mi è sembrato tanto un di quei film di critica sociale italiani, ma senza la forza che avrebbe uno dei nostri. Resta tutto un po’ troppo da intellettuali di sinistra francesi, di quelli un po’ benpensanti e pieni di buone intenzioni ma con poca vogliaa di agire davvero e che trovano più pratico lamentarsi random.

Valahlla Rising: I danesi hanno qualche problema. Questo film sembra una versione di Antichris di Von Triel con i vichinghi al posto delle mogli psicopatiche.
Il film inizia anche in modo vagamente interessante, una violenza esagerata caratterizzata da un uso iper realistico dei suoni che enfatizza la ferocia. Poi si passa al silenzio, in buona parte del film non succede nulla, senza dialoghi con giusto degli effettacci sonori da horror di serie b che servono ogni tanto a svegliare il pubblico (perlomeno io un paio di volte stavo per addormentarmi ma sono buono e voglio dare la colpa alla digestione e non al film).
Un nulla misticheggiante con le solite teorie che piacciono tanto ai nordici sulla scoperta delle americhe. Mah!

giovedì 12 novembre 2009

Che occhi grandi che hai

Lady Gaga + Francis Lawrence = Il video più figo el momento.
Bad Romance
No, cioè parliamone. Una cosa del genere mi spinge addirittura a riesumare il cadavere del mio blog!
Pensavo che Lady Gaga avesse raggiunto l’apice col video di Paparazzi, invece questo Bad Romance ha tutte le carte in regola per superarlo. È incredibile come questa donna sia talmente pacchianeria da fare il giro completo e diventante geniale.
Atmosfere asettiche e da servizio di moda patinato, Lady Gaga e soci come vampiri i bare tecnologiche che si aprono col calare del sole. La Germanotta che si trasforma in un manga vivente “torturata” e costretta a fare la cyber prostituta che mette all’asta il proprio corpo per un gruppo di bevitori di vodka (tremendo product placement anche evitabile, quelli per la Apple e per i piccì sono nettamente meno invadenti) fino al finale fiammeggiante.
Una serie di costumi tra il pacchiano e il geniale; le regine bianca e nera e soprattutto la vestaglia con l’orso polare come strascico.
Francis Lawrence fa un lavorone, mettendo un po’ da parte i suoi aspetti tipici (campi lunghi, panoramiche, molta CGI, ecc.) per lasciare che il Gaga Style prenda il sopravvento, “limitandosi” a fare un lavoro quasi Kubrickiano con le scenografie bianche e luminose che rimandano a 2001: Odissea nello spazio o alla carrellata iniziale che riprende quella nel Korova milkbar di Arancia Meccanica.
Ancora, daccene ancora.