lunedì 31 dicembre 2012

I video dell'anno: le nomination!

Invece del solito classidicone dei videoclip dell'anno qesta' volta ho voluto strafare e tirare giù i miei personali oscar dei videoclip. Quindi cominciamo con le candidature e prima o poi annuncerò i vincitori a sorpresa.

Miglior video:


-Bjork - Mutual Core regia di Andrew Thomas Huang
-Die Antwoord – Baby's On Fire regia di NINJA e Terence Neale
-Get Well Soon - Roland, I Feel You regia di Philipp Kaessbohrer
-M83 - Steve McQueen regia di Balthazar Auxietre & Sylvain Derosne
-The Shoes – Time To Dance regia di Daniel Wolfe

domenica 30 dicembre 2012

Classificone parte 2

film

Son tornati i bei tempi dei film d'animazione da top ten.

1. Shame di Steve McQueen
2. Quella casa nel bosco di Drew Goddard
3. Ralph Spaccatutto di Rich Moore
4. Young Adult di Jason Reitman
5. Dark Shadows di Tim Burton
7. La guerra è dichiarata di Valérie Donzelli
8. Ribelle - The Brave di Mark Andrews, Brenda Chapman, Steve Purcell
9. ...e ora parliamo di Kevin di Lynne Ramsay

11. La talpa di Tomas Alfredson
12. The Avengers di Joss Whedon
13. Hugo Cabret di Martin Scorsese
14. E ora dove andiamo? di Nadine Labaki
15. Le 5 leggende di Peter Ramsey
16. Biancaneve di Tarsem Singh
17. Tutti i santi giorni di Paolo Virzì
18. Io e te di Bernardo Bertolucci
19. Cosmopolis di David Cronenberg
20. Pollo alle prugne di Vincent Paronnaud & Marjane Satrapi

Super ritardatari Hunger di Steve McQueen e Il castello nel cielo di Hayao Miyazaki.

Premio della giuria ai film che sarebbe anche il caso che uscissero in sala:

film 

Weekend di Andrew Haigh
En kongelig affære di Nikolaj Arcel
Blancanieves di Pablo Berger
No di Pablo Larraín
Shell di Scott Graham
A Liar's Autobiography: The Untrue Story of Monty Python's Graham Chapman di Bill Jones, Jeff Simpson & Ben Timlett

sabato 29 dicembre 2012

Classificone parte 1

Come ogni anno l'immancabile classificone musicale, i dieci album del mio 2012. Più o meno in ordine casuale.

album

-Lacuna Coil – Dark Adrenaline
-In This Moment – Blood
-Crystal Castles
-Garbage – Not Your Kind of People
-Ellie Goulding – Halcyon
-maria antonietta
-Marina and the Diamonds – Electra Heart
-Bat for Lashes – The Haunted Man
-Alcest – Les voyages de l'Âme
-iamamiwhoami – kin

Fuori per un pelo:
Uochi Toki – Idioti, Tre allegri ragazzi morti – Nel giardino dei fantasmi, Grimes – Visions, No Doubt – Push and Shove, Amor Fou – 100 Giorni Da Oggi

Fuori concorso:
Lana Del Rey – Born To Die: The Paradise Edition
Patrick Wolf – Sundark And Riverlight

giovedì 13 settembre 2012

Trashetheus


Quest'anno è uscito nelle sale Quella casa nel bosco, un film che si prende gioco dei cliché dei film horror de-costruendoli per dar vita ad un prodotto intelligente ed originale che dà contro alla scarsa voglia dell'industria cinematografica di stimolare il pubblico, a cui spesso viene dato esattamente quello che si aspetta, senza nessuna sorpresa e seguendo i soliti rituali stantii.

A seguire questo rituale è Prometheus, l'atteso ritorno alla fantascienza da parte di Ridley Scott, un regista che ha segnato il genere con due film come Blade Runner e Alien: proprio questo film ripiegava in modo originale il concept della “casa nel bosco” in chiave fantascientifica. Originalità che manca proprio a questo prequel, che invece sembra seguire in maniera pedestre un manuale di cliché del cinema horror in modo da non scombussolare troppo le certezze degli spettatori americani.
La ricetta prevede una bionda bona e accessoria, in questo caso una mai tanto inutile Charlize Theron, e un inteligentone che sa le lingue, conosce la minaccia e sotto sotto un po' è invischiato con il nemico, qui un Michael Fassbender che scopiazza male il personaggio di Ian Holm del primo Alien. Poi servono i nerd stupidi, in questo caso due, caratterizzati talmente male che insieme costruiscono a mala pena un personaggio. E in fine i due eroi: quello che si sacrifica e la protagonista, la vergine, l'unica che può sopravvivere alla bestia.
Voilà il gioco è fatto, lascia morire in modo stupido un personaggio dopo l'altro e abbiamo ottenuto un innocuo horroretto da quattro soldi.
Ma Scott e i due sceneggiatori sciroccati non si sono accontentati, hanno voluto fare le cose in grande, aggiungere al calderone un sacco di personaggi inutili e senza personalità, che magari non hanno nemmeno battute, più l'immancabile nero saggio, che si sacrifica perché di buoni principi, il tutto condito con stronzate new age e una trama inutilmente finta complicata e serializzata per poter piacere il più possibile ai fan di Lost (il film inizia ponendo delle domande che vengono totalmente rimandate ad un secondo o terzo episodio).
Il risultato è talmente ambizioso da risultare fastidioso, noioso e poco appassionante. È difficile provare un minimo di empatia per dei personaggi che nel migliore dei casi sono tagliati con l'accetta, è impossibile non ridere di fronte ai grossolani errori di casting (a cosa serve avere nel cast Guy Pearce se tanto tutto il tempo è truccato (male) da vecchio? Prendere davvero un attore anziano sarebbe stato troppo difficile?), è troppo chiedere allo spettatore di prendere sul serio una trama così pretestuosa e fintamente complicata quasi a voler coprire la troppo evidente formuletta della “casa nel bosco”.

Ho volutamente tralasciato le idiote scelte narrativo-scientifiche (quale normale essere vivente dopo aver visto un alieno serpentiforme invece di scappare gli si avvicinerebbe con la faccia e cercherebbe di toccarlo? Quando mai le tute per gli astronauti sono senza copertura sulle mani?) perché sarebbe davvero troppo sparare sulla croce rossa, così come per i metaforoni religiosi che sono da sbellicarsi e non voglio rovinare la sorpresa a nessuno (dico solo natale, crocifisso, sacrificio e gravidanza indesiderata).
Se ogni capitolo della saga di Alien portava la storia su un nuovo piano narrativo (horror il primo, azione il secondo, thriller il terzo, fumettone il quarto), questo prequel invece vorrebbe riprendere il modello del primo film e rielaborarlo in modo più ambizioso e totalizzante, risultando però solo esteticamente bello grazie alla fotografia di Dariusz Wolski (La maledizione della prima lunaSweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street) e il design di H.R. Giger, ma irrimediabilmente inutile e involontariamente ridicolo.

mercoledì 27 giugno 2012

Tell me i'm your national anthem


Ormai dimenticata dagli hipster, che si sono resi conto con un po’ di ritardo che la loro nuova eroina in realtà è una diva mainstream vera e propria, Lana Del Rey abbandona l’estetica omosessuale e patinata di Yoann Lemoine per affidarsi a Anthony Mandler (collaboratore di fiducia di Rihanna) col quale tirare fuori il videoclip più bello della sua carriera.
Ok, non è volgare come speravo: nella mia fantasia una Lana vestita da soldatessa sexy in un Pakistan versione gangsta andava ad uccidere Osama bin Laden infilzandolo con una bandiera americana, ma mi accontento di vederla nei panni di Jackie Kennedy. Moglie di un presidente rapper, in un immaginario gangsta, volgare e kitsch (Lana circondata da fiori, che si struscia sulla pelle di un orso, rose che sbocciano, ecc). Il tutto incorniciato da un filtro un po’ vintage un po’ alla Instagram.
L’attentato a John F. Kennedy non è la prima volta che viene rappresentato in un videoclip e anche in questo caso il risultato è decisamente ottimo.
Più kitsch e meno fanciulla morente possono rendere Lana molto più interessante di quanto ha dimostrato fin ora.

lunedì 18 giugno 2012

Lack of payoff

Le ovvie metafore
Neanche due anni fa acclamavo l’inventiva e la genialità di Jonna Lee e del suo progetto audiovisivo iamamiwhoami, nato di punto in bianco e costruito sulla base del viral marketing che vedeva l’artista reinventarsi completamente da un punto di vista musicale.
Una serie di video affascinanti e inquietanti che, oltre a me, hanno attirato curiosi da tutto il mondo creando un meccanismo di attesa nei confronti di ogni video simile a quello che si istaura tra una puntata e l’altra di una serie tv.
Questa sorta di web serie musicale basata su una mitologia di mandragore e sirene, costruisce la sua prima “stagione” dal nome bounty con 10 videoclip (più i rispettivi prelude) intervallati da tempistiche sempre diverse e che istaurano un rapporto con il fruitore che lo invoglia ad esplorare e indagare sull’origine dei personaggi coinvolti e la storia che celano i video.

Dopo un periodo di pausa, com’era iniziato, il progetto iamamiwhoami è ripartito a pubblicare video: dopo un piccolo teaser arrivano uno dopo l’altro nove video e rispettive canzoni, però anche se il nome rimane lo stesso la saga si allontana profondamente dal bounty che aveva appassionato e creato una solida fanbase.
La simbologia legata ai numeri viene lasciata perdere e i video arrivano puntuali ogni due settimane, e risultano completamente sterili.
Da progetto visivamente stimolante (e anche coraggioso per le sue componenti sessuali ed ecologiste) si passa ai “video esibizione” svogliati tipici di molti musicisti moderni (soprattutto in Italia con Gaetano Morbioli come paladino), che ricorrono al video giusto perché serve a promuovere la canzone ma senza alcuna minima voglia di utilizzare al meglio il medium. Pigramente si cerca di riempire i tre o quattro minuti del pezzo con immagini superfule e a tratti irritanti nella loro inconcludevolezza.
Il nuovo video di iamamiwhoami
Se nei primi video del secondo ciclo, chiamato kin, si percepisce a tratti un tentativo narrativo andando avanti questo aspetto, già di persè minimo, viene presto abbandonato eliminando definitivamente ogni traccia di curiosità o aspettativa che poteva aver destato.
Boschi, tramonti, spiagge e Jonna Lee che cammina sono gli unici elementi di questi video che, nel caso migliore annoiano e in quello peggiore si rivelano ridicoli in modo imbarazzante come nel caso di goods: l’episodio conclusivo di questa “seconda stagione”, non sono altro che 5 minuti di Jonna Lee vestita come un pagliaccio che balla su sfondo nero, senza contare la sottile metafora con la stanza nera che rappresenta l'album. Booooring .
Il nulla che stride ancora di più se si pensa alla bellezza e al modo in cui l’artista aveva sfruttato le potenzialità del medium del videoclip solo qualche anno prima.
Come in un Lost musicale gli elementi di mistero e le domande createsi nel tempo vengono lasciate lì abbandonate, nessuna ricompensa prevista, il mistero è svelato senza alcuna catarsi, fatta passare come una notizia di poco conto. Solo la musica conta adesso, il resto è un accessorio superfulo che finisce con l'imbruttire.

venerdì 10 febbraio 2012

Millennium: Uomini che odiano i sottotitoli


Quando ho visto la versione svedese di Uomini che odiano le donne, ho rivisto tanto thriller americano anni novanta, in particolare il Fincher di Seven e quando fu annunciato un remake diretto proprio da quest’ultimo ho subito pensato fosse la scelta perfetta, che il cerchio si chiudeva.
Sbagliavo però, il Fincher di quei tempi non c’è più, quella combinazione di sporco e glamour, i riferimenti all’estetica gorn e bondage, non fanno più parte del suo bagaglio estetico.
Quel Fincher dal materiale di partenza avrebbe tirato fuori un capolavoro, il regista di oggi ha fatto solo un thriller poco superiore alla media americana.
La sceneggiatura di Steven Zaillian appiattisce il più possibile il già semplice materiale di partenza rendendo ogni dettaglio investigativo a prova di americano stupido, tagliando personaggi e background vari per snellire a più non posso la storia e invece riprendendo dettagli per lo più inutili dal libro per dare comunque una certa piega buonista (la figlia che aiuta a risolvere il caso grazie alla sua conversione cattolica).
Tutto più leggero, la violenza è ridotta, il passato di Lisbeth Salander alleggerito (e giusto accennato in qualche battuta del finale), così come il suo look: tutti la guardano come se fosse un mostro quando in realtà è una ragazza bellissima con un paio di piercing e un abbigliamento un po’ alternativo.
Fincher non si rivela più capace di ritrarre il marcio e si limita a girare il film in modo raffinato e tecnicamente impeccabile senza però i guizzi di The Social Network.
Dai 13 milioni del film svedese ai 90 dell’americano, come l’aumento del budget, tutto diventa più grande e lussuoso: le impeccabili case svedesi che sembrano uscite da una rivista di arredamento, i costumi fighetti, quasi un H&M più raffinato, e la bellissima fotografia gelida che ritrae tutti in modo pulito e asettico. Tutto è più fighetto anche da un punto di vista di sfacciato product placement con immancabili supporti Apple così di tendenza ma al contempo inguardabili in mano ad un personaggio che dovrebbe essere un serio hacker e non un grafico hipster.
Gli elementi più interessanti arrivano dalla colonna sonora: se nel caso di The Social Network trovavo il lavoro di Reznor e Ross era inutilmente invasivo e forzatamente cupo, questa volta invece le sonorità gelide del duo arredano alla perfezione il film, dando un grande fascino ad intere sequenze che altrimenti sarebbero risultate asettiche.
Curiosa la decisione di lasciare le vicende in Svezia, un po’ come dire “quelle cose brutte non succedono mica in America”, quando invece il passaggio agli stati uniti forse avrebbe giovato (vista la loro “cultura” di serial killer), così come sarebbe uscito quasi naturale un parallelo tra Julian Assange e il protagonista Mikael Blomkvist ma niente. Non c’è un minimo di innovazione rispetto all’originale, né un tentativo di autorialità da parte di Fincher, solo semplificare e riproporre in una lingua diversa lo stesso prodotto.
Visto il risultato è comunque da apprezzare la decisione di non mettere attori troppo famosi a corredare il cast, fatta eccezione per Craig e Plummer, ed utilizzare per lo più attori anonimi e volti poco conosciuti, compresa la buona ma non eccezionale Rooney Mara che dimostra che la potenza del personaggio potrebbe lanciare un po’ qualunque attrice.