lunedì 18 giugno 2012

Lack of payoff

Le ovvie metafore
Neanche due anni fa acclamavo l’inventiva e la genialità di Jonna Lee e del suo progetto audiovisivo iamamiwhoami, nato di punto in bianco e costruito sulla base del viral marketing che vedeva l’artista reinventarsi completamente da un punto di vista musicale.
Una serie di video affascinanti e inquietanti che, oltre a me, hanno attirato curiosi da tutto il mondo creando un meccanismo di attesa nei confronti di ogni video simile a quello che si istaura tra una puntata e l’altra di una serie tv.
Questa sorta di web serie musicale basata su una mitologia di mandragore e sirene, costruisce la sua prima “stagione” dal nome bounty con 10 videoclip (più i rispettivi prelude) intervallati da tempistiche sempre diverse e che istaurano un rapporto con il fruitore che lo invoglia ad esplorare e indagare sull’origine dei personaggi coinvolti e la storia che celano i video.

Dopo un periodo di pausa, com’era iniziato, il progetto iamamiwhoami è ripartito a pubblicare video: dopo un piccolo teaser arrivano uno dopo l’altro nove video e rispettive canzoni, però anche se il nome rimane lo stesso la saga si allontana profondamente dal bounty che aveva appassionato e creato una solida fanbase.
La simbologia legata ai numeri viene lasciata perdere e i video arrivano puntuali ogni due settimane, e risultano completamente sterili.
Da progetto visivamente stimolante (e anche coraggioso per le sue componenti sessuali ed ecologiste) si passa ai “video esibizione” svogliati tipici di molti musicisti moderni (soprattutto in Italia con Gaetano Morbioli come paladino), che ricorrono al video giusto perché serve a promuovere la canzone ma senza alcuna minima voglia di utilizzare al meglio il medium. Pigramente si cerca di riempire i tre o quattro minuti del pezzo con immagini superfule e a tratti irritanti nella loro inconcludevolezza.
Il nuovo video di iamamiwhoami
Se nei primi video del secondo ciclo, chiamato kin, si percepisce a tratti un tentativo narrativo andando avanti questo aspetto, già di persè minimo, viene presto abbandonato eliminando definitivamente ogni traccia di curiosità o aspettativa che poteva aver destato.
Boschi, tramonti, spiagge e Jonna Lee che cammina sono gli unici elementi di questi video che, nel caso migliore annoiano e in quello peggiore si rivelano ridicoli in modo imbarazzante come nel caso di goods: l’episodio conclusivo di questa “seconda stagione”, non sono altro che 5 minuti di Jonna Lee vestita come un pagliaccio che balla su sfondo nero, senza contare la sottile metafora con la stanza nera che rappresenta l'album. Booooring .
Il nulla che stride ancora di più se si pensa alla bellezza e al modo in cui l’artista aveva sfruttato le potenzialità del medium del videoclip solo qualche anno prima.
Come in un Lost musicale gli elementi di mistero e le domande createsi nel tempo vengono lasciate lì abbandonate, nessuna ricompensa prevista, il mistero è svelato senza alcuna catarsi, fatta passare come una notizia di poco conto. Solo la musica conta adesso, il resto è un accessorio superfulo che finisce con l'imbruttire.

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