Così si conclude la sfiancante partecipazione al festival.
Settimo giorno:
Fu il turno di Wendy and Lucy di Kelly Reichardt, Wendy e una giovane che parte con il suo cane, Lucy, per cercare lavoro in Alaska. Le cose non andranno nel verso giusto, la macchina su cui viaggiavano si guasta e la cagna sparisce. Wendy si trova sola in un posto sconosciuto senza nessuno che la possa aiutare e senza soldi. Il film ci racconta la solitudine e lo smarrimento di chi ha perso tutto nello stile tipico dei film indipendenti. Oltre alla brava Michelle Wiliams il film complessivamente lascia un gusto di incompiutezza ma resta comunque un film godibile.
Ottavo giorno:
Ero molto incuriosito da Hunger di Steve McQueen e il film non mi ha deluso. Sono pochi i film che riescono a farti così male mentre li vedi, tutta la violenza e la durezza delle immagini ti viene lanciata addosso senza mai sembrare esibizionistica.
Come nel caso de Lo scafandro e la farfalla, anche se in modo totalmente diverso, il background di video artista del regista si fa sentire, soprattutto nella sequenza degli uccelli e nel finale.
Dopo l’inglese toccò a La classe operaia va in Paradiso di Elio Petri in versione restaurata di cui non credo ci sia bisogno di scrivere altro Petri <3.
nono giorno:
Con la gentile partecipazione di Lift e probabilmente preso da un attacco di masochismo mi sono svegliato alle sette e mezza di mattina per andare a vedere The Edge of Love di John Maybury.
Dopo aver affrontato intemperie, autobus che non arrivano e quant’altro si giunge finalmente in sala a vedere il film. Con la solita Keira Knightley, che ormai non credo sappia più vestirsi come una donna degli anni 2000, ad interpretare la solita fanciulla innamorata. Diciamo pure che la colonna sonora di Badalamenti è ottima, la fotografia è grandiosa e costumi e scenografie impeccabili. Ma per il resto oltre all’ottima confezione il film non è nulla di così strabiliante, anzi a volte zoppica un po’ e il continuo uso di primi piani da un fastidioso effetto di telenovela. Ciò non toglie che sia comunque un film esteticamente appagante ma non aspettatevi di più.
Finalmente poi si arriva al film che probabilmente attendevo di più di tutto il festival, Lasciami entrare di Tomas Alfredson. Ora c’è da dire che parlare di un film così sconvolgentemente bello non è facile e ho volutamente fatto passare un po’ di giorni dalla visione per metabolizzare meglio il tutto ma lo stesso mi è difficile commentare in modo più argomentativi che dire “grandioso”. Partiamo dai lati negativi che son pochi; proprio non mi è andato giù il clichè classico che piace tanto a gli americani del figlio problematico per via dei genitori divorziati, che è probabilmente il punto su cui costruiranno tutto il remake americano, e non ho ben capito chi fosse l’omino random che va a casa del padre a metà film, magari un filino di spiegazione non sarebbe stato male. La colonna sonora l’ho trovata decisamente troppo canonica per il genere horror e anche l’uso delle musiche non originali è piuttosto classico e poco memorabile.
Ecco detto ciò, i difetti sono finiti e potrei cominciare a tessere le lodi del film. Film che è in grado di far scaturire nello spettatore le emozioni più contrastanti tra loro, si passa infatti dalla dolcezza e innocenza della storia d’amore alle più crude espressioni di violenza rigorosamente e minuziosamente mostrate dal regista. Arrivano sequenze memorabili e visivamente potenti come l’omicidio nel bagno, la neo-vampira attaccata dai gatti, lo spettacolare modo in cui muoiono i vampiri e soprattutto il primo dolce e al contempo cupissimo primo finale che poi apre la strada al secondo più ambiguo ma speranzoso.
Ultimo giorno:
Prince of Broadway di Sean Baker ossia il vincitore del premio della giuria. Una commedia indipendente su una paternità inaspettata. Simpatico e divertente un po’ sopravvalutato. Poco riuscito il parallelismo tra i due protagonisti e poco approfonditi i personaggi protagonista a parte.
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